Un pieno di emozioni che si chiama Grand Canyon

DSC01478

Per la visita al Grand Canyon, abbiamo scelto Kingman come tappa per dormire (da Los Angeles al Grand Canyon la strada è abbastanza lunga – più di 5 ore – ed essendo partiti al pomeriggio da LA dovevamo pernottare in un qualche posto sperduto). E’ una cittadina ordinata, con le sue casette carine, il Walmart, i benzinai, le steakhouse e il nostro motel (oltre ad altri, ovviamente), El Trovatore Motel (spesa 18$ a testa). Siamo arrivati che era ora di cena, intorno alle 19.30, il sole era già calato e a farci il check in c’era un simpatico signore di mezza età, un po’ grassoccio, con i capelli lunghi grigi raccolti in un codino, seduto dietro ad una piccola scrivania invasa da cianfrusaglie “americane” di tutti i tipi. C’erano anche sua moglie e un tenero cagnolino che si divertiva a fare delle giravolte sul divano lì vicino.

Credo sia stato il check in più lungo della mia vita perché, nel frattempo si era aggiunta una famigliola scozzese che andava verso Las Vegas e il proprietario ha fatto un check in “allargato”. Ci ha voluto raccontare la storia di Kingman, ha voluto sapere dove eravamo diretti il giorno seguente per darci indicazioni precise sulle strade da fare e consigli su cosa vedere. Ci ha divertito con aneddoti della sua vita a Las Vegas. Con la mappa davanti, ci ha spiegato come funzionano i negozi di Kingman, dove si mangia bene e ci ha informati degli orari del Walmart. Aveva una pronuncia perfetta e scandiva bene le parole, per fortuna. Così sono riuscita a capire praticamente tutto! Ah, alla fine ci ha anche regalato una spilletta della Route 66. E’ stato davvero gentilissimo e ospitale.
Il motel era un posto carinissimo! Aveva tutte le pareti esterne dipinte con colori vivaci e rappresentava le città attraversate dalla Route 66 (Kingman è una di queste), inoltre c’era un auto d’epoca parcheggiata davanti aDSC01440lla reception e una zona barbecue con griglia e tavolini. La moglie ci ha accompagnati alla  nostra stanza, raccontandoci della Route 66 e ci ha mostrato le comodità della camera, che era spaziosa, con un cucinino e una TV in bianco e nero, che mai avremmo acceso ma che ci teneva tanto farci vedere, indicandoci i canali su cui i programmi non erano interrotti dalla pubblicità.
Siamo andati subito a mangiare in un locale poco distante, Mr D’z Route 66 Diner, dove ci siamo pappati un hamburger (il mio primo in America) con patatine. Mi ricordo che di fianco a noi c’erano degli italiani e anche nel tavolo dietro di noi c’erano degli italiani. A Los Angeles ne avevo visti parecchi, ma non pensavo di trovarne così tante anche nei paesi sperduti dell’Arizona. E quelli di fianco a noi avevano preso gli spaghetti con delle polpette che avevano un aspetto alquanto raccapricciante. Ecco, se c’è una cosa che non farò mai (a meno di non essere sul punto di morte) è prendere un piatto italiano all’estero.
Tornati in motel , mi preparo per lavarmi e…anche qui non c’è l’asciugacapelli. Va beh, a questo punto ho deciso di fregarmene perché io, i capelli, dovevo lavarli. Li avrei asciugati con la temperatura mite della sera nel parcheggio del motel. In qualche modo dovevo pur arrangiarmi. Dopo la doccia, con il pigiama (e ammetto un po’ imbarazzata), esco fuori e mi siedo sulle sedioline in plastica che caratterizzano sempre i motel e che si trovano a lato della porta della stanza. Capisco subito che ci metterò una vita ad averli asciutti, ma cosa potevo fare? Poi però, lampo di genio. Di fianco a me e sotto la finestra della nostra camera c’era il motore dell’aria condizionata che buttava fuori aria calda. Ok, avevo trovato il mio asciugacapelli. Mi piego e, magia, capelli asciutti in pochi minuti. La mia amica ha seguito le mie orme. Che grande cosa l’arte dell’arrangiarsi; alla fine un modo per risolvere i grandi problemi della vita lo si trova sempre.
E così, con i capelli come nuovi e soprattutto asciutti, sono andata a dormire.

E’ passato un mese da quel giorno in cui ho visto per la prima volta il Grand Canyon ma riesco ancora a ricordare perfettamente la sensazione che ho provato. In realtà è stato un mix di emozioni che, per una manciata di secondi, mi hanno tolto il fiato e la parola.
Quando mi si è aperto davanti sono rimasta ipnotizzata da quello che i miei occhi stavano guardando e, a bocca aperta, ho sentito che correvano i brividi sulla pelle e ai polmoni non arrivava più un filo d’aria. Mi è mancato il respiro da quanto è infinito, stupendo e incredibile.
Lo vedi che si perde all’orizzonte e non riesci proprio a togliergli gli occhi di dosso. Magari vorresti anche girare lo sguardo altrove, ma i muscoli non si muovono.  Osservavo ogni particolare e alle 11 (orario in cui abbiamo iniziato la visita), con la luce del sole praticamente perpendicolare alla superficie, le ombre delle rocce erano pressoché assenti. Non riuscivo a capire dove finiva una roccia e iniziava l’altra, e quella bellezza naturale sembrava un dipinto su tela, disegnato alla perfezione. Le rocce si stagliavano contro il cielo azzurro e, in alcuni punti, si vedeva scorrere il Colorado, almeno in apparenza, mansueto.

DSC01469

Abbiamo percorso il South Rim, partendo dalla Hermits Rest Route con lo shuttle del parco per andare ai punti panoramici presenti lungo la strada chiusa al traffico delle auto. A parte gli autisti super-antipatici che continuavano a ripetere le stesse cose e pretendevano che ci comportassimo come degli scolaretti in gita scolastica (“salite sui gradini”, “là in fondo c’è spazio”, “nella parte sopra i gradini ci stanno 7 persone e io ne vedo solo 6: avanzate prego”, e avanti così), siamo scesi ai vari punti da cui si aprivano spiazzi per ammirare il Canyon, dove si trovavano pannelli con informazioni sul Canyon e sulla fauna di quei luoghi. Mi sono goduta, punto dopo punto, tutto quello scorcio di Grand Canyon, chiedendomi ogni volta come era possibile che si fosse formato un posto del genere e sentendomi sempre annientata (positivamente) dalla forza della Natura. Terminata la visita alla parte con il pullman, siamo tornati al parcheggio (al Visitor Center), abbiamo preso la macchina e abbiamo percorso la strada aperta al traffico dei visitatori, la Desert View Drive. Dopo varie fermate, abbiamo deciso di guardare il tramonto da Lipan Point dove le rocce cambiavano colore, e da arancioni diventavano violette, man mano che il sole calava dietro le montagne. Da qui si vedeva anche una bella porzione di Colorado che, con la sua ampia ansa, se ne scorreva verso la sua destinazione. E’ stato emozionante stare seduta lì, su un sasso, sopra una dorsale sottile che si immetteva nel canyon ed essere immersa nel pieno variare delle luci e delle ombre che si allungavano sempre di più fino a coprire tutto e  scurire ogni cosa. Ce ne stavamo lì, in silenzio, credo ognuno preso dai propri pensieri e dall’incanto di quell’evento. Per me era la prima volta che assistevo ad uno spettacolo di tali proporzioni.
Ho fatto un sacco di foto, ho fotografato gli stessi panorami più volte, non volevo lasciare indietro niente, volevo imprimere tutto sulla mia scheda di memoria SD, per far sì che poi rimanesse tutto nella mia di memoria, quella cerebrale. Perché volevo cogliere tutto quello che questo posto poteva darmi. Quando poi ho rivisto le foto a casa, mi sono resa conto che molte erano uguali tra loro e che in fin dei conti ero stata una stupida: una foto è sufficiente, tutto il resto è dentro il mio cuore e se ora con la mente torno là, come scrivevo prima, riesco a rivivere tutto. Ed è questo quello che alla fine vale più di ogni altra cosa.

Questa voce è stata pubblicata in Stati Uniti, Viaggi e contrassegnata con , , , , . Contrassegna il permalink.

3 risposte a Un pieno di emozioni che si chiama Grand Canyon

  1. Pingback: [Mini-Guida]USA: Itinerario e costi di un viaggio nella West Coast | Bagaglio a Mano Rulez

  2. Sognando Caledonia ha detto:

    Non vediamo l’ora di vederlo anche noi!! La notte prima alloggeremo a Flagstaff ma abbiamo ancora qualche dubbio su quella dopo..quasi quasi facciamo un pensierino su Kingman!

    "Mi piace"

Lascia un commento